PANLEUCOPENIA FELINA O PARVOVIROSI
Come riconoscere i sintomi e quali sono le possibilità di cura?

La panleucopenia felina, nota anche come parvovirosi felina, è sostenuta da un parvovirus specie-specifico (FPV) e correlato al parvovirus canino di tipo 2 (CPV2).
Si tratta di una malattia infettiva altamente contagiosa che può colpire tutti i felini oltre al gatto.
La sua pericolosità è legata sia al decorso rapido e spesso letale, sia alla facilità con cui si diffonde in una comunità felina.
EPIDEMIOLOGIA
Il virus è altamente resistente, può persistere nell'ambiente fino a 6 mesi.
Il contagio avviene per via diretta (trasmissione materno-fetale, in utero o neonatale, contatto diretto con gatti infetti) e indiretta, attraverso il materiale organico ricco di virus eliminato dal gatto infetto e disperso nell'ambiente (secreti ed escreti: feci, muco, sangue, vomito, ecc.), inclusa la via aerea.
I gattini contaminati in utero che non manifestano segni clinici di malattia possono continuare ad ospitare il virus fino a un anno, mentre i gatti infettati e apparentemente guariti possono rimanere portatori del virus per diversi mesi.
Una volta immunizzato per via naturale, tuttavia, il gatto non corre più il rischio di ammalarsi.
I gatti di tutte le età possono contrarre il virus ma nei gattini cuccioli - che sono i più sensibili - il tasso di mortalità è molto elevato (oltre il 90% dei gattini non sopravvive all'infezione).
PATOGENESI E SINTOMATOLOGIA
Una volta infettato, il gatto può avere un periodo di incubazione di 4-10 giorni prima di manifestare segni clinici.
Il virus può localizzarsi in vari distretti e i sintomi variano di conseguenza.
Si possono sviluppare una forma iperacuta, una acuta o una subclinica.
Il gattino che viene infettato dalla madre durante l'ultima settimana di gravidanza o nei primi giorni di vita sviluppa in genere problemi a carico del sistema nervoso che provocano retinopatia, atrofia del nervo ottico (cecità), idrocefalo, atrofia cerebellare (con atassia, non riesce a coordinare i movimenti e cammina in modo difficoltoso, cade, inciampa, ha problemi a mantenere la posizione su quattro zampe).
Il gattino manifesta i primi sintomi a 2-3 settimane d'età e presenta andatura plantigrada accompagnata da tremori, incoordinazione motoria, atassia, talvolta convulsioni e alterazioni comportamentali.
Se l'infezione avviene nelle prime 2-3 settimane di vita, per via oro-nasale, il virus si localizza nel midollo osseo e nel tessuto linfoide, causandone l'atrofia (porta a leucopenia, con deficit del sistema immunitario e incapacità di combattere qualsiasi infezione batterica o virale).
L'infezione contratta entro il primo anno di vita, in soggetti che non dispongono di anticorpi sufficienti a contrastarla, colpisce l'intestino tenue e il midollo osseo, con diversi quadri di gravità.
Il virus colonizza le cellule dell'intestino tenue, provocando necrosi, alterazione della permeabilità intestinale e malassorbimento.
Nelle forme più gravi il gatto manifesta una forma iperacuta, con grave depressione, temperatura rettale bassa (inferiore a 38°C), e morte entro 24 ore.
Nella forma acuta compaiono ipertermia (febbre a 40-41°C), anoressia, sensorio depresso (il gatto è mogio, non risponde agli stimoli, appare letargico), dolore addominale (dolore alla palpazione, schiena inarcata).
Entro 1-3 giorni compaiono anche vomito e diarrea. Le feci sono acquose, abbondanti, fetide, talvolta emorragiche. Alla palpazione dell'addome si rileva ingrossamento dei linfonodi mesenterici e le anse intestinali assumono una consistenza particolare a causa della contrazione (a "tubo di gomma").
Il gatto manifesta molta sete ma non riesce a dissetarsi (a causa del danno intestinale: acqua e sostanze nutritive non vengono assorbiti) e vi è continua perdita di fluidi. Per questo si manifesta un quadro di disidratazione progressivo. La perdita di peso e di liquidi fa sì che i bulbi oculari si retraggano parzialmente nelle cavità oculari (occhi infossati) e che si renda ben visibile la terza palpebra.
Le conseguenze della disidratazione possono essere letali.
Altre volte il danno alla parete intestinale favorisce la proliferazione di batteri Gram - che si diffondono nel circolo sanguigno, con setticemia, CID (coagulazione intravasale disseminata) con comparsa di petecchie ed ecchimosi e poi morte (90-95% dei casi).
Se il gatto colpito da forma acuta riesce a superare i primi 5-6 giorni di malattia, ha buone probabilità di sopravvivere.
Nelle forme cliniche subacute il gatto manifesta un rialzo termico lieve, abbattimento, diarrea da moderata a profusa (talvolta emorragica), modica disidratazione: se il quadro sindromico non viene complicato da una forte disidratazione la prognosi per la guarigione è buona.
Nelle forme subcliniche il gatto (in genere adulto) non manifesta sintomi clinici tipici della malattia e solo con esami di laboratorio specifici è possibile isolare il virus. In questo caso il gatto non corre rischi diretti ma rappresenta una minaccia per la salute dei gatti conviventi, in quanto è un eliminatore asintomatico del parvovirus. Le analisi di laboratorio evidenziano leucopenia da modesta a grave, quindi presenta un rischio di contrarre altre infezioni.
I gatti di età superiore a 1 anno, privi di immunità specifica, possono contrarre la malattia e manifestarla in gravità diversa (acuta, subacuta, subclinica) a seconda di alcune variabili: età, malattie coesistenti, deficit del sistema immunitario, terapie in corso, ecc.
DIAGNOSI
Esistono test rapidi (metodo ELISA) da effettuare su campioni di feci che consentono di individuare un gatto "eliminatore" del virus, anche se asintomatico. Si tratta di un test che non aiuta a capire se il gatto è guarito (infatti può rimanere portatore sano e/o non eliminare il virus con le feci al momento del test) ma individua con sicurezza un soggetto con virosi attiva (anche se asintomatico) che può rappresentare un rischio per altri gatti.
Un esame più attendibile si effettua tramite analisi di laboratorio (PCR) su sangue intero o feci.
Un esame del sangue (nei gatti non vaccinati) può evidenziare leucopenia (basso numero di globuli bianchi) con valori ridotti di 50-3000 cell/ml (fase acuta) o di 3000-7000 cell/ml (quadro meno grave).
I test sierologici, che rilevano gli anticorpi, non sono utili ai fini diagnostici perché non possono distinguere gli anticorpi prodotti per via naturale (esposizione al virus) da quelli prodotti a seguito di vaccinazione.
L'esame istopatologico (su campioni di tessuto di intestino, milza, linfonodi mesenterici) o necroscopico dei soggetti deceduti possono dare conferma della diagnosi, soprattutto se si sospetta l'infezione in una comunità felina.
A causa della similarità con alcuni sintomi di origine tossicologica (avvelenamenti) la necroscopia si effettua per avere una diagnosi differenziale.
CURA
Purtroppo non esiste una terapia specifica per la panleucopenia felina.
Si possono effettuare trattamenti di sostegno in collaborazione con il veterinario, che nei casi più gravi ricovera il gatto per una terapia intensiva (fluidoterapia). A seconda dei sintomi si somministrano antiemetici, gastroprotettori, antibiotici (se si sospettano setticemia o infezioni batteriche secondarie).
In alcuni casi la somministrazione di Interferone Felino ricombinante può aiutare a ridurre la mortalità purché effettuata precocemente.
Che ruolo può avere l'Omeopatia nei gatti colpiti da panleucopenia?
Poiché il quadro sindromico varia da un soggetto all'altro, sia nella gravità sia nei sintomi, il Veterinario Omeopata può prescrivere una terapia su base individuale che aiuta il gatto a superare le diverse fasi di malattia, scegliendo il rimedio omeopatico più idoneo in quel momento.
L'Omeopatia diviene un supporto e un alleato delle terapie allopatiche e non presenta controindicazioni o effetti collaterali tipici dei farmaci chimici.
Poiché ogni gatto manifesta sintomi a modo suo non esiste un protocollo omeopatico "universale" da consigliare.
PREVENZIONE
La prevenzione passa attraverso il contenimento della contaminazione diretta e ambientale.
I gatti malati o sospetti infetti vanno isolati, sottoponendoli a quarantena.
Occorre rispettare un'igiene scrupolosa per evitare di veicolare in modo passivo il virus, anche se il gatto infetto non appare sintomatico:
- lavarsi le mani e disinfettarle dopo aver toccato il gatto infetto e tutto ciò che può aver contaminato
- non far condividere con altri gatti ciotole, lettiere, trasportini, gabbie, coperte, giochi, spazzole e oggetti vari
- lavare e disinfettare con candeggina (ipoclorito di sodio al 7%) tutti gli oggetti venuti a contatto con il gatto infetto, nebulizzando e lasciando asciugare
- lavare e disinfettare anche le palette usate per rimuovere la lettiera, non utilizzare spugne (possono rimanere impregnate di materiale contaminato)
- attenzione a scarpe e vestiti, che possono rimanere contaminati dal virus dopo aver accudito il gatto infetto
- considerare che il gatto tenuto in isolamento può diffondere il virus a distanza anche per aerosol (tosse, starnuti), quindi attenzione a non porre gabbie e trasportini in prossimità
- tenere pulito l'ambiente dove è ospitato il gatto infetto: lavare e disinfettare anche pavimento e arredi, cambiare quotidianamente la lettiera per ridurre il carico infettivo ambientale.
La prevenzione può essere effettuata, sotto forma di profilassi, con vaccini specifici: chiedete al Veterinario quale protocollo è più idoneo per proteggere il vostro gatto, secondo le più recenti Linee Guida 2024 della World Small Animal Veterinary Association (WSAVA).
Per chi ha timore della vaccinazione, ricordate che esistono protocolli omeopatici personalizzabili per aiutare l'organismo del gatto (e anche del cane!) a superare indenne eventuali effetti collaterali o conseguenze a lungo termine della profilassi vaccinale.